Ultimamente sto approfondendo la conoscenza delle serie tv. Non credo si tratti di una curiosità banale, mi pare invece legata al tema della letteratura. Infatti, il mondo della narrazione cinematografica è in grado di offrire spunti molto utili a uno scrittore.
Di serie tv ce ne sono tante, basta avere un abbonamento a Netflix per godere di un’ampia scelta. Con un po’ d’ironia, le serie tv possiamo definirle ciò che viene dopo i libri, o un’alternativa ai libri. Ce le concediamo come una piacevole pausa rispetto al vizio utile e prolifico della lettura. L’ultima serie tv che in ordine di tempo ho iniziato a guardare si chiama Bodyguard.
Una civiltà si riconosce soprattutto dai suoi tratti distintivi. I greci erano noti per la loro filosofia, gli antichi romani per saper costruire strade, acquedotti, e fogne, oltre che per essere una civiltà guerriera; la civiltà di oggi si distingue per vivere nell’epoca globale della narrazione. Oggi tutto è diventato multiracconto: la politica, l’informazione, il marketing, ogni spazio sociale a ben vedere è invaso di racconti.
In Bodyguard la storia ruota attorno al personaggio immaginario David Budd, un sergente di polizia e un eroico veterano dell’esercito britannico sofferente di disturbo da stress post-traumatico, che lavora come agente nel comando di protezione del Metropolitan Police Service di Londra. È incaricato di proteggere l’ambizioso Ministro dell’Interno Julia Montague, la cui politica rappresenta tutto ciò che disprezza.
Il conflitto del personaggio nella storia è evidente. Si tratta di un ex soldato (passato e caratterizzazione psicologica) e di un eroe, calato nella realtà di ogni giorno; prestato a una causa importante e con un fortissimo senso del dovere (missione/funzione). Come tanti eroi di questo tipo, sembra dividersi tra le necessità del supereroe – quasi da personaggio di Stan Lee – e le esigenze della vita di ogni giorno. La storia e la suspense – ciò che tiene incollato lo spettatore allo schermo – è tutta centrata sull’ansia condivisa con lo spettatore se David sarà o meno in grado di portare a termine la sua missione.
Le serie tv sono molto vicine al fumetto, e al telefilm, perché utilizzano il meccanismo seriale. Gli episodi fanno evolvere la storia con lentezza, e vi è una cura maniacale della suspense legata al singolo episodio, e alla vicenda nel suo complesso, il cui finale è un orizzonte indefinito verso cui si tende. Le serie tv, tra l’altro, si reggono sulla necessità dell’industria di realizzare un guadagno; se questo non c’è vengono fermate, perciò siamo nel campo della democraticità delle scelte imposte al pubblico (andiamo avanti solo se vi piaciamo) .
Nella serie tv vincono i personaggi. Come in un dramma shakespeariano, siamo in attesa di loro a ogni episodio per vedere cosa faranno e che piega prederanno gli eventi. ll particolare meccanismo narrativo della serie tv, basato sul dilatarsi della storia che può tendere anche a infinito, esalta lo spazio offerto al personaggio e la sua importanza. Lo spettatore tende a vedere il personaggio come un elemento attivo, che fa la storia. Senza saperlo, prende posizione a favore o contro di lui: lo odia o lo ama, scegliendo quanto del suo pathos condividere. Tutto ciò ha molto a che vedere con la letteratura, si potrebbe dire in un certo senso stiamo tornando alle origini, quando una storia chiedeva soprattutto condivisione delle vicende di questo o quel protagonista, di cui si narrava la vita, spesso pubblicata in forma di feuilleton: Don Chisciotte, Renzo e Lucia, il Conte di Montecristo, Anna Karenina, Pinocchio, Robinson Crusoe, Dottor Jekyll e Mr. Hide. A dirne i nomi, si capisce facilmente che certi personaggi sono quasi tutt’uno con la storia raccontata.
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Mi è piaciuta Bodyguard!
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A chi lo dici, Sara! 🙂
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Ottimo!! Aspetto la seconda stagione… ho letto la teoria secondo cui la protagonista non sarebbe morta veramente!
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Non posso risponderti, io sono ancora alla prima serie 🙂
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