4 consigli per scrivere meglio

La buona scrittura, anche se non sembra, è una competenza piuttosto trascurata. Oggi con la tecnologia tutto va veloce, e ha preso piede un utilizzo della lingua che ritiene di poter fare a meno di tante regole, comprese quelle di grammatica.

Non ci credete? Qualche tempo fa guardavo la tv e mi è caduta l’attenzione su una frase, detta da una giovane presentatrice: oggi, la giornata della violenza contro le donne…. Penso che se a quella giornalista avessero chiesto se la parola “contro”, all’interno della frase, era utilizzata come preposizione o avverbio non avrebbe saputo rispondere. Si tratta di preposizione. La preposizione contro, deve precedere l’espressione a cui si riferisce (in questo caso: la violenza sulle donne) per indicare opposizione. Insomma, la frase corretta avrebbe dovuto essere: oggi, la giornata contro la violenza sulle donne.  Il giorno prima in un reportage naturalistico ho assistito all’errore su un congiuntivo, e qui non credo si trattasse di lapsus.

Nei libri degli scrittori capita di trovare errori e refusi. È inevitabile. Gli errori degli scrittori ci sono più simpatici, perché rendono importante il nostro servizio; inoltre derivano dal fatto che quando crea l’Autore è molto concentrato a rendere coinvolgente la propria storia, cosa che talvolta comporta meno attenzione agli aspetti formali dello scrivere.

Ciò di cui vi ho parlato finora è la correzione di bozze. Nel campo della correzione di bozze un errore spesso riscontrato è l’utilizzo smodato della “d” eufonica. Forse perché è sconosciuta la regola: ed, ad, ecc. si utilizzano quando sono identiche tra loro la vocale che precede (e, a, ecc.) e la vocale iniziale della parola successiva (“ed emerse” “ad amare” sono corretti, mentre non lo è “ed iniziare”).  Qui, a dire il vero, il correttore di word non aiuta, non segnala neppure l’errore. Altro caso invece è quello dei plurali: ciliegia diventa ciliegie, spiaggia, diventa spiagge (perdono la i). Perché? Accade perché la sillaba “-gia” al plurale (spiagge) è preceduta da consonante. Stessa cosa vale per la sillaba “-cia”. Anche questa regola temo sia ormai sconosciuta.

Veniamo invece ai consigli di editing. Nel correggere un testo, l’editor cerca di renderlo più leggibile. È un cane da fiuto che ha il compito di stanare le espressioni che complicano la vita al lettore. Nel farlo deve cercare di non penalizzare o alterare lo stile di uno scrittore. Non so se Charles Dickens abbia mai avuto un editor, pare dettasse a voce i suoi romanzi al proprio scrivano e rivedesse con grande puntiglio la punteggiatura di ogni frase. Un editor minimalista (quelli di oggi, che amano le frasi brevi o brevissime) che avesse messo a mano allo stile di Dickens, forse avrebbe mandato all’aria tutto il ritmo della sua prosa.

Gli editor, si sa, non amano molto le subordinate e l’utilizzo del “che”. La regola però non è eliminarli a prescindere, ma cercare di capire se uno scrittore li usa troppo spesso (in questo, word aiuta). Inoltre, vanno sapute fare delle distinzioni: per esempio Italo Calvino non bandiva le proposizioni subordinate basate su “che” nei suoi romanzi e racconti, ma la prosa era scorrevolissima. Spesso limare una frase, eliminando il “che”, implica la riscrittura della stessa. Per esempio: io penso che tu sia mentendo diventa non ti credo, stai mentendo.

Una forma verbale da usare con attenzione è il gerundio. Anche qui, la situazione va valutata caso per caso, ma la presenza delle forme gerundive nelle frasi va ridotta ai minimi termini, come si fa con con gli acari del divano. Meno sono, e meglio è. Per fortuna non tutti gli scrittori ne abusano. L’uso del gerundio non è scorretto, ma nove volte su dieci rende meno efficace quel che si vuole dire. Mi stai osservando e non mi rispondi è corretto ma Mi osservi e non mi rispondi è più letterario.

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11 Thoughts

  1. Grazie
    Inviami tante tante cose.
    Nelle lezioni americane Calvino descrive l ‘utilizzo e il ritmo dello spazio e la moltiplicazione del tempo col la scrittura

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    1. Ciao Marinella, grazie del commento. In realtà la Treccani dice “In base alla regola empirica che si usa per il plurale dei nomi in ➔-cia, -gia, -scia, la grafia corrente del plurale di ciliegia è ciliegie. (…) Tuttavia, fino alla metà del secolo scorso ha avuto una certa diffusione anche la grafia ciliege (latino *cereseae). La si ritrova ancora nel titolo dell’ultimo romanzo di Oriana Fallaci, pubblicato postumo: Un cappello pieno di ciliege.” Ciliege è un arcaismo. Un saluto

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