Si racconta che quando Umberto Eco fu sul punto di pubblicare Il nome della Rosa ebbe una significativa divergenza con la propria casa editrice. Quest’ultima gli chiedeva di tagliare nel Romanzo circa 100 pagine, che costituivano la prima parte. Le riteneva poco sostenibili dal lettore. Naturalmente, lo scrittore si ribellò: chi non era in grado di superare quella “salita” – che in fondo è egualmente interessante, si tratta di un efficace quadro storico del Medioevo, periodo nel quale il libro è ambientato – non poteva essere il lettore di quel libro.
Insomma, editore e scrittore ebbero una divergenza sul lettore modello. Forse l’editore aveva in testa il lettore modello di Aghata Christie, che ama i rebus e gli enigmi, ma non è abituato alle digressioni storiche impegnative; lo scrittore invece pensava a un altro lettore modello, oggi ben più affermato: quello dei thriller storici, che se la suspense all’interno della storia è ben gestista ama, eccome, gli excursus storici. Sappiamo com’è andata a finire: il libro è un best seller di fama mondiale, è stato tradotto in 49 lingue, ne sono stati fatti anche un film e di recente una serie tv.
Abbiamo definito cos’è il lettore modello: un’ipotesi imparata dall’esperienza per un editore (basata su indagini di mercato) oppure una congettura da parte dello Scrittore, il quale decide di rivolgersi a un particolare pubblico o a una molteplicità di pubblici – in questo senso, può darsi che Eco volesse rivolgersi tanto ai lettori un po’ ingenui da giallo, quanto a lettori di romanzi storici, ai critici letterari, oppure al vasto e indefinibile pubblico che in moltissime conferenze ha incontrato durante la sua vita.
Per uno scrittore, il lettore modello resta una dato di fantasia. Abbiamo bisogno di facce reali per immaginare un contradditorio, ma per il lettore modello la particolarità è che questa non c’è. Il lettore modello è comunque interessante, se non altro perché può rivelarsi un aiuto alla nostra fantasia: può essere utile ipotizzarlo, e immaginarne le reazioni durante la lettura del nostro libro.
Un modello è una previsione semplificata della realtà. Se sto scrivendo gialli so benissimo cosa si aspetta un lettore: un mistero su cui indagare, un insieme di situazioni che permettano alla sua arguzia di cimentarsi, una soluzione efficace della storia, ritmo avvincente e trama agile e ben fatta. Non sempre il lettore empirico – coloro che leggono per primi l’opera – sono in grado di cogliere la portata di un’opera e di comprenderla appieno. Questione di modelli e dati culturali, che vanno continuamente aggiornati.
Alla fine de Il nome della Rosa Umberto Eco scrisse una postilla in cui cercò di giustificare a se stesso il successo del romanzo. Perché il libro era piaciuto tanto? In sintesi, nella postfazione si citavano questi tre aspetti: il mondo narrativo costruito con molto scrupolo e con i criteri del romanzo-sceneggiatura, dove ogni dialogo o fatto dura quel che deve durare, sulla base di un criterio di lucido iper-realismo; un protagonista ingenuo ma perfetto (Adso da Melk) che risolveva tutti i problemi culturali che il lettore poco preparato avrebbe potuto avere, sapientemente mischiati alla sana azione e al ritmo del thriller.
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