Lezioni di fiction: il protagonista di Joker

Spesso siamo abituati a pensare al protagonista di una storia come a un “buono”, ma nel cinema e anche in letteratura non è raro trovare dei personaggi, al centro di una vicenda, che possiedono entrambi i poli – bontà e cattiveria – e vivono in perenne conflitto con la società, che spesso svolge il ruolo di forza antagonista.

Quello appena enunciato altro non è che il tema del doppio, che in letteratura offre numerosi esempi. Basterebbe pensare a Lo strano caso del dott. Jekill e di Mr. Hide di R. L Stevenson oppure a Il visconte dimezzato di Italo Calvino. Entrambi questi romanzi fantastici  hanno protagonisti scissi in una metà buona e in una cattiva. La riflessione di Stevenson è esistenziale – Jekill sembra porci interrogativi sull’abisso di profondità dell’animo umano, e circa la lotta dentro di noi fra bene e male. La riflessione di Italo Calvino, al contrario, confronta le due metà, quella buona e quella cattiva, impegnate ciascuna a fare la propria parte nel mondo, e vorrebbe forse invitarci a riflettere in maniera sociologica su quest’eterna sfida.

Joker è un film del 2019 ispirato all’omonimo personaggio dei fumetti della DC comics, che vede Joaquin Phoenix interpretare il ruolo del protagonista. La pellicola ha vinto il leone d’oro alla 76 esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, oltre a due premi Oscar e ad aver ricevuto ben undici candidature. A essere interessante, in quest’opera, è innanzitutto il mondo narrativo: ci troviamo a Ghotam, nel 1981,  la città della avventure di Batman e di altri personaggi della DC Comics. Il degrado e la disuguaglianza sociale la fanno da padroni, e il miliardario Thomas  Wayne si candida a sindaco e dopo che è stata diffusa la notizia di grossi tagli alla spesa pubblica.

Il protagonista della storia si chiama Arthur Flake. È un individuo alienato che soffre di depressione e altri disturbi – tra cui una risata incontrollata che lo coglie nei momenti più imprevisti. Vive da solo con la madre anziana e malata. Per sbarcare il lunario fa il clown, ma subisce alcune disavventure. Prima viene derubato di un cartello, che espone in strada per conto di un cliente, e nel tentativo di recuperarlo viene pestato dai ladri; in seguito, durante uno spettacolo per bambini, si lascia cadere per terra una pistola che portava indosso, e a seguito di questo strano comportamento il suo datore di lavoro decide di licenziarlo.

Durante un’altra aggressione in tram a opera di alcuni balordi, Arthur dà sfogo a tutta la propria rabbia: reagisce al pestaggio e ancora travestito da clown – ritornava dall’ospedale e aveva appena appreso di essere stato licenziato – fa fuori i suoi aggressori. Rivela a se stesso e agli altri il proprio ruolo di “cattivo”. La città viene tappezzata di manifesti con la faccia di un pericoloso clown, e la polizia si metterà sulle sue tracce.

Alcune particolarità di questa fiction sono: il rovesciamento della funzione di archetipo del clown, che di norma è un individuo positivo e che fa sorridere, in una maschera di paura; e soprattutto, il ribaltamento della figura del protagonista, che invece di essere un buono è diventa un cattivo, sebbene si muova in un contesto falsato in cui la società sembra avere molte colpe nella sua trasformazione. In questo particolare caso, cioè, ci troviamo di fronte a un arco di trasformazione negativo del personaggio, dove egli perde per strada i propri valori a causa delle volenze subite dalla società.   

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