L’esattezza del linguaggio

Uno scrittore non può fare a meno di essere esatto con le parole. Il che vuol dire che può dover passare molto tempo a revisionare i propri testi. Non è un caso che Alessandro Manzoni, ne I promessi sposi – il primo romanzo italiano, pubblicato nel 1823 – dedicò molto tempo a rivederne lo stile, prima di giungere a una forma che lo soddisfacesse.

Non sempre le parole – e non tutte – sono buoni ambasciatori di ciò che lo scrittore intende dire. Il grammatico Cesare Marchi raccontava che esse sono come “viaggiatori”, che vanno controllati alla dogana per sapere che bagaglio portano. Per uno scrittore, non esiste forse una parola giusta in senso assoluto, ma semmai la parola che si adatta come un guanto al suo stile.

Debolezza di specificazione. Non parliamo soltanto di questo, ovviamente. La scelta delle parole collabora a descrivere in maniera esatta una scena narrativa o uno stato d’animo. Ecco perché vanno sapute scegliere. Racconta Nicola Piovani che nel visitare i set di Fellini rimanesse spesso colpito dal trovarvi un’atmosfera festosa, allegra e quasi “infantile”. Quando riferì le sue impressioni al maestro del cinema questi lo corresse, e disse che semmai l’atmosfera della sua troupe e del set era “ginnasiale”, come di chi fa i compiti (documentario “Fellinopolis”). Ecco una parola, quindi, che specificava meglio e diceva di più su una situazione e su un gusto anche estetico di fare cinema – quello di Fellini. Di debolezza di specificazione parla Raymond Carver, negli stessi termini, cioè di un testo che va modificato ripensando alla parole che possono meglio raccontarlo, andando più in profondità.  

L’esattezza: di esattezza del linguaggio parla anche Italo Calvino nelle sue Lezioni americane, dedicandovi per l’appunto una lezione. Precisa:

Perché sento il bisogno di difendere valori che a molti potranno sembrare ovvi? Credo che la mia prima spinta venga da un’ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza verso il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze – è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.   

 La ricerca di un linguaggio più preciso possibile, come lessico e capacità d’immaginazione preciso è quindi ciò che, secondo Calvino, ci salva dalle nebbie dell’indistinto e dell’indeterminatezza, in un’opera letteraria.  

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