La letteratura islandese medievale rivela una profonda trasformazione narrativa: le saghe, più che narrazioni storiche, sono specchi morali e culturali. Questo articolo esplora la premessa morale che sottende la loro evoluzione letteraria.
Indice
- Introduzione: una domanda antica
- Il miracolo islandese e la forma lunga
- Premessa morale: oltre la cronologia
- Verità e finzione: una frontiera porosa
1. Introduzione: una domanda antica
È legittimo chiederselo: perché gli Islandesi del XII secolo iniziarono improvvisamente a scrivere saghe? E ancora, quale impulso – morale, estetico, culturale – ha guidato questa trasformazione del passato in letteratura? Le risposte si intrecciano in un intrico di motivazioni storiche, pratiche e, soprattutto, simboliche. Ma la vera chiave di lettura, suggerisce Trine Buhl, non va cercata solo nelle fonti o nella forma: bisogna risalire alla premessa. Alla base di queste narrazioni sta un intento etico, una spinta ideologica che travalica il semplice resoconto degli eventi. Le saghe non sono – o non sono solo – archivi del tempo andato: sono strutture di senso, strumenti per costruire identità, norme, memoria collettiva (Buhl, 2004, p. 6). Il punto, quindi, non è tanto se ciò che raccontano sia accaduto davvero, quanto piuttosto perché viene raccontato proprio così.
2. Il miracolo islandese e la forma lunga
Verso la fine del XII secolo – all’improvviso, come una fioritura tardiva ma intensa – l’Islanda assiste a una vera e propria esplosione narrativa. Le konungasögur, seguite poi dalle Íslendingasögur, non nascono da una linea evolutiva chiara, ma sembrano rispondere a un cambiamento profondo: una nuova coscienza storica. Come osserva Buhl, questo “miracolo islandese” non è solo la comparsa di una forma letteraria nuova, bensì l’affermazione di un modo diverso di rappresentare il passato (Buhl, 2004, p. 9). Il re non è più soltanto figura storica; diventa simbolo. L’antenato non è più solo genealogia; diventa archetipo. La narrazione diventa più lunga, più complessa, più consapevole. Tutto cambia: la lunghezza del testo, l’uso del vernacolo, la centralità dell’autore, persino la presenza di una voce narrativa più invadente. Ma soprattutto, cambia lo scopo: non registrare, ma interpretare.
Premessa morale: oltre la cronologia
Per molto tempo, la critica ha cercato di spiegare le saghe con argomentazioni filologiche e cronologiche: si è cercato di ricostruire una linea di sviluppo, di tracciare un prima e un dopo, di legare ogni saga a una fonte. Ma – domanda retorica – è davvero questo ciò che conta? È sufficiente sapere da dove viene una saga per capire perché esiste? La risposta è no. La premessa morale viene prima della cronologia. Ogni saga nasce da una necessità – sociale, politica, spirituale – di ordinare il passato in una forma riconoscibile. Il narratore non è neutrale: spesso, come nella Sverris saga, chiede esplicitamente di essere creduto, si mostra, commenta, seleziona (Buhl, 2004, pp. 11–12). In questo senso, le saghe diventano discorsi morali travestiti da cronache. E la “verità” che cercano non è quella dei documenti, ma quella del senso.
Verità e finzione: una frontiera porosa
Secondo la narratologa Dorrit Cohn, la distinzione tra narrativa storica e finzione si basa sulla referenzialità: la prima deve riferirsi a eventi reali, la seconda no. Ma sul piano strutturale – quello del racconto e della sua forma – la distinzione si fa labile. Le saghe complicano ulteriormente questa frontiera. Parlano del passato, sì, ma lo fanno con strumenti narrativi sofisticati: focalizzazione interna, introspezione, intervento autoriale, commenti metanarrativi. Nonostante ciò, pretendono di essere vere – vere in un senso diverso: vere perché convincenti, vere perché necessarie. Ecco perché la critica contemporanea propone di leggere tutte le saghe come testi letterari, che adottano strategie diverse per presentare versioni credibili del passato (Buhl, 2004, p. 7). In altre parole: la verità non è nel fatto, ma nella forma con cui quel fatto viene raccontato.
Bibliografia
Buhl, T. (2004) Premises of Literary History: On Genre and Narrative Modes in the Sagas. Brathair, 4(2), pp. 4–16.