Lezioni di stile: il piacere della lettura di Marcel Proust

È piuttosto curioso dedicare dei pensieri alla lettura. Eppure, anche gli scrittori sono dei lettori, ma non solo: devono badare al piacere di chi legge, quindi la riflessione può avere un senso. Il piacere della lettura è un saggio introduttivo che Marcel Proust scrisse nel 1906 in occasione della pubblicazione in Francia di Sesamo e gigli di John Ruskin e in cui egli espone nella prefazione a quell’opera la propria idea di lettura, prendendo le distanze da quanto scritto più avanti dal critico inglese.

Già dall’incipit Proust chiarisce cos’è, dal suo punto di vista la lettura:

Non ci sono forse giorni della nostra infanzia vissuti più pienamente di quelli che abbiamo creduto di aver lasciato senza viverli, quelli trascorsi insieme a un libro prediletto. Tutto ciò che sembrava riempirli per gli altri, e che evitavamo  come un ostacolo volgare a un piacere divino: il gioco per il quale un amico veniva a cercarci nel passaggio più interessante, l’ape o il raggio di sole fastidiosi che ci costringevano ad alzare gli occhi dalla pagina o a cambiare posto, le provviste per la merenda che ci avevano fatto portare e lasciavamo in disparte sulla panchina, senza toccarle, mentre sopra la nostra testa, la forza del cielo declinava nel cielo azzurro, la cena per cui eravamo dovuti rientrare e durate la quale pensavamo solo a salire di sopra per finire, subito dopo il capitolo interrotto, tutto questo, di cui la lettura avrebbe dovuto impedirci di percepire altro che l’inopportunità, ne incideva al contrario un ricordo talmente dolce (talmente più prezioso, a nostro attuale giudizio, di quello che allora leggevamo con tanto amore) che, se ancor oggi ci capita di sfogliare quei libri  di un tempo, è come i soli calendari che abbiamo conservato dei giorni andati, con la speranza di vedere riflessi nelle loro pagine stagni e dimore che non esistono più.

Già da questo passo l’autore della Recherche ci fa capire cos’è la lettura: un’esperienza. Nel seguito fornisce i dettagli di quest’esperienza, e data la poetica di Proust assaporiamo soprattutto le capacità evocative della memoria, i ricordi. Della lettura Proust sottolinea un aspetto che segna la maggiore distanza da Ruskin, il piacere solitario e misterioso, quasi arcano del leggere. Le righe che seguono, servono a precisarlo:

E qualche volta, a casa, nel letto, molto dopo cena, anche le ultime ore della sera davano rifugio alla lettura, ma solo i giorni in cui ero arrivato agli ultimi capitoli di un libro, e non c’era più molto da leggere per arrivare alla fine. Allora, rischiando una punizione se venivo scoperto, e l’insonnia che, finito il libro, si sarebbe forse protratta tutta la notte, non appena i miei genitori erano andati a coricarsi, riaccendevo il lume; mentre nella strada lì accanto, tra la casa dell’armaiolo e la posta, immerse nel silenzio, il cielo buio eppure azzurro era pieno di stelle e, a sinistra sulla stradina in salita dove iniziava ruotando la sua strapiombante ascensione, si sentiva vegliare, mostruosa e nera, l’abside della chiesa le cui sculture di notte non dormivano …        

Infine, Proust parla di coinvolgimento nella storia e dell’amore per i personaggi. La lettura, insomma come finzione e insieme gusto per le mille vicende che ci vengono raccontate, e per la capacità di uno scrittore di riprodurre o creare da zero, mondi nei quali un lettore può perdersi.

Poi, terminata l’ultima pagina, il libro era finito. Bisognava fermare la corsa a perdifiato degli occhi della voce che li seguiva in silenzio, interrompendosi solo per riprendere slancio, con un sospiro profondo. Allora, per dare al tumulto, che da troppo tempo infuriava in me per potersi calmare così, altri moti da dirigere, mi alzavo, mi mettevo a camminare lungo il letto, gli occhi ancora fissi su un punto che invano si sarebbe cercato dentro la stanza o fuori perché si trovava a una distanza d’anima, una di quelle distanze che non si misurano in metri o leghe, come le altre, e che del resto è impossibile confondere con essere quando si guardano gli occhi distanti di chi pensa ad altro.  E allora? Era tutto lì, il libro? (…) Avremmo tanto voluto che il libro continuasse e, se proprio era impossibile, avere altri ragguagli su tutti quei personaggi, sapere qualcosa della loro vita adesso, impiegare la nostra in cose che non fossero totalmente estranee all’amore che ci hanno ispirato e il cui oggetto veniva improvvisamente a mancare… (…)

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