I termini “realismo e naturalismo” sono stati tanto utilizzati che, come le monete ormai logore, il loro valore è a malapena distinguibile. Per aggiungere confusione, c’è una certa abitudine nell’usare le due parole in modo intercambiabile. Nel complesso i critici europei ritengono che fra questi due termini sia necessario stabilire delle chiare differenze.
Cronologicamente, nella narrativa del diciannovesimo secolo, le opere migliori di Balzac e di Flaubert rappresentano lo sviluppo del realismo; mentre Zola e la sua scuola spinsero quella dottrina al suo estremo e di fatto fondarono Il naturalismo. A sostegno della distinzione, si può citare il critico Lanson che non include Balzac nella sua trattazione del naturalismo; felicemente definito da Wright come un realismo di forma acuta. Allora cos’è il realismo? Possiamo ancora dire, come faceva Littré, che si tratta di un attaccamento alla realtà senza fini ideali di rappresentazione? Ma oggi se pensiamo alla natura senza ideali pensiamo, piuttosto, ai naturalisti. È vero che alcuni critici francesi, tra cui Brunetière, usano i termini realismo e naturalismo praticamente come sinonimi. Altrimenti sarebbe difficile per Brunetiere sostenere «i romanzi di Balzac non sono dei romanzi se non nella misura i cui sono naturalisti »; e quindi, secondo tale critica Balzac fu un naturalista in tutti i sensi della parola, e la sua eccellenza va giudicata dal grado con cui seguì quella dottrina.
Evidentemente per Brunetiere “il vero naturalismo” è equivalente al nostro senso del realismo, poiché definisce l’aggettivo naturalismo come conforme alla realtà della vita. È per avvalorare ciò, cita una definizione seicentesca: “L’opinione o rappresentazione che si ritiene naturalismo è quella che stima la necessità di un’esatta imitazione della realtà.” Chiamatelo come volete, abbiamo in questo brano un classico grido di guerra esteso al realismo più concreto, anche se la parola “naturalismo” resta ancora vaga.
Questo argomento è seguito anche da Duranty, che probabilmente ha rafforzato il riconoscimento di Zola, nel suo diario intitolato Il realismo. Egli definisce questa scuola di scrittura come «la riproduzione esatta, completa, sincera, del contesto sociale e dell’epoca vissuta dal personaggio».
Così nel 1857 – data di uscita Madame Bovary – i principali punti del credo realista erano diventati quattro: esattezza, completezza o universalità della rappresentazione, verità e approccio storico-sociale. Le distinzioni, dal punto di vista austero di Brunetiere, tra realismo e naturalismo sono ben espresse nella sua apertura al romanzo naturalista. Brunetiere afferma di aver scritto questo libro per opporsi alle condizioni di un’arte del non propriamente naturalista, che sono: la limitatezza dell’osservazione, la simpatia per la sofferenza, la semplicità di esecuzione, che esprimevano i caratteri più generali del naturalismo contemporaneo.
Tralasciando gli elementi più esotici della formula, e tenendo presente soprattutto l’esempio pratico di Balzac e Flaubert, possiamo ora arrivare a una definizione operativa di realismo: è l’arte di rappresentare la realtà, vista in gran parte dal punto di vista materiale, in un modo da riprodurla produrre il più fedelmente possibile e darne l’impressione il più completa e universale al lettore.
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