Il pedinamento della realtà

Il cinema deve tanto alla letteratura. Ha messo in scena tanti romanzi,  e ha usufruito degli scrittori come di sceneggiatori. Allo stesso tempo i grandi scrittori vedono da sempre notevolmente amplificata da film e serie tv la fama dei propri libri  – il caso postmoderno più famoso è forse Stephen King.

Il legame più sottile tra queste arti è che entrambe sono “letteratura”, cioè arte del racconto, sebbene il cinema parli soprattutto per immagini didascalizzate da dialoghi. Il neorealismo, in Italia, è stato il movimento culturale e cinematografico che ha innovato il modo di stare dietro la macchina da presa, e si deve a Zavattini l’espressione “pedinamento della realtà”.  Quanto questa definizione si può prestare alla letteratura? Anche la letteratura, in fondo, può diventare (o è, spesso) una cronaca dei tempi.

I film neorealisti che si pongono alle origini del genere sono Ladri di biciclette e Umberto D. Il neorealismo si pone in maniera forte come elemento d’indagine della realtà, e trae da essa l’ispirazione per le proprie narrazioni.  L’espressione pedinamento della realtà sta a significare proprio questo: andare dietro ai cambiamenti sociali, cercare di descriverli, può essere considerata la missione sociale del regista di quel periodo. Da un lato c’è un pubblico appena uscito dalla guerra, tutt’altro che colto, dall’altro l’utilizzo della cinepresa che non si identifica più in una “storia” o nel soggetto che un  regista ha autonomamente creato seguendo le proprie idee, ma diventa una sorta di occhio lucido e indagatore della realtà sociale di tutti i giorni. Non faceva lo stesso anche Pasolini, con Ragazzi di vita, e infatti fu anch’egli un regista?

Gli elementi che contano, per i neorealisti, non sono però solo quelli conoscitivi e rappresentativi di un certo momento storico. Contano, e tanto, anche alcune posizioni estetiche. Per esempio, il cinema del periodo – proprio per il particolare approccio – evade dalle fissità della trama. Mentre il cinema americano si basava allora, e si basa tutt’oggi, sulla solida struttura in tre atti, e sul viaggio dell’eroe, come archetipo per raccontare una storia, il neorealismo rifugge da impostazioni così rigide e prevedibili.  Lo vediamo benissimo anche nel film Ladri di biciclette. La domenica di un operaio che subisce il furto di una cosa umile e allo stesso tempo per lui necessaria, la bicicletta, diventa il mezzo per raccontare una giornata con un punto di vista originale e melodrammatico – l’uomo che la cerca per tutta la città. Vista con gli occhi dell’archetipo il film è una non-trama, e la storia è un pretesto all’osservazione del mondo fuori.

Il cinema è un ipertesto, ovvero un testo complesso che possiamo derivare dalle immagini solo in maniera ipotetica – non possiamo, infatti, mai sapere con certezza con quale intenzione un regista ha scelto un immagine, o precisa attraverso il montaggio una scena narrativa. Nel caso del neorealismo, la trama diventa un exemplum, e si fa funzionale a una rappresentazione del reale dove il messaggio è nell’informazione stessa, e da ultimo nello sguardo di attenta cronaca, umanista e civile, dell’autore.

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