Quanto uno Scrittore può avventurarsi nei pensieri dei propri personaggi per renderli noti al Lettore? La domanda merita una risposta ampia. Per cominciare, siamo all’interno di una particolare tecnica narrativa che si chiama punto di vista. In un Romanzo, oppure un racconto, l’Autore fa scelte irrevocabili che riguardano il Narratore e il modo in cui egli conosce una storia.
Il narratore può “saperne di più” del suo personaggio, come si usa dire; non è raro infatti che il narratore, in molte opere classiche, possieda tutte le informazioni sulla vicenda che racconta. E’ il cosiddetto narratore onnisciente. C’è poi il narratore hemingwayano, che descrive ciò che vede e non sembra possedere tutti i fili che legano una situazione (in questo caso, si usa dire che il narratore ne sa meno dei suoi personaggi).
Tra questi due estremi, c’è tutto il punto di vista. Dalla distanza di un narratore dal suo personaggio dipende il grado di condivisione delle sue azioni, e dei suoi pensieri; questa sarà di certo minore tra il narratore e il protagonista, e maggiore tra l’antagonista e chi ne riferisce le vicende. Ci sono personaggi che sono meno legati alla voce narrante, e lo capiamo dal fatto che in una storia, spariscono per molte pagine. Ci sono poi quelli di cui il narratore spia l’intimità e i pensieri, e qui ovviamente la distanza è minima – ma dipende anche dal tipo di Romanzo.
La Scrittura cerca di rendere le complessità della vita. E’ vero che le parole sono importanti, ma spesso non capita di usarle come un paravento? Per gli Scrittori che indagano il reale, alla ricerca di conflitti e aspetti segreti da evidenziare di una vita familiare, o in un particolare tipo di dramma, questo è più di una pista letteraria. Può diventare un dualismo sul quale giocare tutta l’opera.
E’ il caso, per esempio, di Anna Karenina di Lev Tolstoj. Si tratta di un capolavoro classico che non ha bisogno di presentazioni. Nabokov definisce quest’opera come il capolavoro assoluto del XIX secolo; Dostoevskij lo definisce di una perfezione a cui nulla può essere paragonato. Romanzo pubblicato nel 1877, Anna Karenina stupisce per l’uso novecentesco, maturo e attuale ancora oggi del flusso di coscienza: cioè il flusso dei pensieri del personaggio, che diventano una trama nella trama, appassionante perché in grado di spostare il senso di una frase detta in un dialogo, di incrinarne la verità, e di farne emergere le contraddizioni. Così come le persone sono sempre in bilico tra verità e bugia, anche i personaggi di una storia lo sono, se vogliamo renderli simili a persone e non a burattini. In questo sapiente stratagemma Tolstoj non è imparziale, infatti non tutti godono equamente della sua attenzione. Nell’incipit ci presenta Oblonskij e veniamo a conoscenza di tutti gli aspetti più sottili del suo stato d’animo dopo la lite con la moglie Dolly che ne ha appena scoperto il tradimento. La protagonista del Romanzo è Anna Karenina, ma non è lei che sentiamo più vicino e che fa da punto di vista. Levin, l’uomo di campagna che nelle prime pagine visita Mosca sembra il nostro punto di accesso sulla storia; tanto che ne seguiamo gli spostamenti di luogo (quanto ritorna a Pietroburgo, ne seguiamo l’azione). La delusione di Levin per il rifiuto di Kitty ci viene descritta con grande abbondanza di particolari, e il narratore, nel metterci a parte dei suoi pensieri e del suo stato psicologico, pare volerci spingere a condividerne le pene. Dosando con maestria questo semplice ingrediente, Tolstoj ci mette a parte di tutta la “verità” del suo capolavoro, che in parte è un’indagine sul dolore e sul pathos – come quando descrive i segreti pensieri di Karenin, il marito di Anna, che cerca un dialogo lei e si prepara un discorso, a notte fonda, prima che lei rientri.
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